Gnosticismo e complottismo 2/3

Gnosticismo001

{…alla prima parte…}

la seconda parte è piuttosto diversa dalla prima
come contenuti
ed è anche priva di immagini
non me ne sono venute in mente da mettere
magari ne conterrà la terza
la terza parte, intendo

Nella sua analisi sullo gnosticismo antico e, soprattutto, nella ricerca di paralleli contemporanei, tutto ciò che è stato citato sinora Jonas lo ignora.
Ovviamente per meri motivi temporali: il suo libro è del 1958, ed è ancora di là da venire l’epoca del complottismo di massa, del complottismo che vende (paradossalmente integrato in quella cultura di mercato che spesso è tra i suoi più grandi nemici dichiarati: ma di questo parlo più avanti).

~ gnosticismo ed esistenzialismo ~

Sarà anche per formazione e ambienti di frequentazione, ma il riferimento di Jonas è la cultura dotta, e il corrispettivo d’oggi dello gnosticismo lo individua nell’esistenzialismo.
Forse si dovrebbe dire “corrispettivo di ieri”: l’esistenzialismo è ormai tramontato da un pezzo (forse uno di quei movimenti che sembrano destinati a segnare, se non determinare, svolte epocali nel proprio tempo, per poi svelare a posteriori la propria effimera contingenza, o la funzione di tassello in movimenti ben più grandi).
Perché l’esistenzialismo è gnostico?
In realtà Jonas, da buon filosofo, predilige definizioni e metodi che inglobino il maggior numero possibile di fenomeni sotto il suo sguardo.
È così che già opera con lo stesso gnosticismo, includendovi ciò che altri avrebbero volentieri escluso, come il manicheismo o i testi ermetici (l’introduzione al volume illustra bene questo lato della questione).
E si potrebbe quasi dire che Jonas prenda l’esistenzialismo come caso acuto di un mood generale, le cui radici si trovan risalendo sino al ‘600.
È la rivoluzione scientifica ad aver nuovamente reintrodotto un rigido dualismo tra uomo e Mondo.
Abbandonato il finalismo cristiano e aristotelico, il meccanicismo postcartesiano non riconosce nel Mondo un intento provvidenziale, uno sviluppo indirizzato a uno scopo, ma solo urti ciechi tra parti di materia.

Jonas non lo dice chiaramente (forse perché lo ritiene addirittura evidente?) ma sembra che per lui la questione sia anche etica.
La natura com’è descritta dalla scienza meccanicistica non consentirebbe di ancorarvi una morale: ora il Mondo sembra funzionare unicamente in termini di potere, e il rischio è che sia questa logica a far da modello anche per i rapporti umani.
Qui Jonas più che fare analisi di storia del pensiero quasi parla per se stesso, e tra le righe riecheggia il timore di quanti vedono nell’estensione progressiva e vittoriosa del metodo scientifico, nonché dei suoi frutti tecnologici, una minaccia per l’umano genere.
Va specificato: non una minaccia materiale, bensì morale.
Qui Jonas non sembra neanche troppo lontano dall’esistenzialismo e dalla polemica di quest’ultimo con scienza, tecnologia, e razionalità applicata alla società; e forse rivela pure i motivi profondi della sua simpatia per lo gnosticismo.

~ gli spettri del meccanicismo ~

Ma esistenzialismo e tanto pensiero filosofico del ‘900, almeno a mio parere, non sono una reazione alla scienza del ‘600, bensì una resistenza, anche disperata, alla progressiva colonizzazione che il meccanicismo scientifico opera sull’umano a partire dall’800.
È in questo secolo che biologia, economia, sociologia, psicologia, per quanto goffe e ingenue nei loro inizî cominciano a incrinare il dualismo che sino a quel momento aveva salvaguardato prima il mondo dei viventi e poi l’essere umano da spiegazioni basate su meri urti tra cose privi di finalità.
Anche la specie umana viene spiegata come frutto di continue ricombinazioni prive di scopo della materia vivente e dipanatesi in tempi lunghissimi. E proprio per questo l’essere umano, forse, non ha nulla di speciale, nessuna nobile essenza che lo metta a parte da tutti gli altri viventi.

L’alienazione di cui tanti pensatori continentali parlano con costante insistenza e toni deploratorî, se non apocalittici, più che dell’uomo rispetto al Mondo, è quella dell’intellettuale erede di una determinata tradizione filosofica rispetto a una società in cui quella tradizione e i suoi discorsi stanno cessando di avere una funzione.
Alienazione anche, perché no?, rispetto a un mondo accademico in cui cattedre e spazî venivano via via sottratti ai venerati docenti dell’umanismo libresco ed erudito a vantaggio di quelli che sapesse manipolare cifre e dati e produrre un sapere immediatamente utilizzabile nell’agire sul Mondo.
La tendenza a fare del proprio malessere un malessere dell’umanità intera non è così rara.

Sia come sia, la soluzione di Jonas all’impossibilità di ancorare un’etica in un Mondo meccanico e a quella che lui ritiene una frattura rispetto all’umano Mondo dei fini, com’è noto a chi ne conosce il pensiero, consiste nei ritrovare nuovamente dei fini nel Mondo stesso.
La conseguenza è un’etica piuttosto conservatrice, come spesso accade quando si cerchi una bussola nella Natura, cioè nel già dato, nel già esistente.
Anche se il dio trascendente e biblico non viene nominato, quella di Jonas è di fatto un’etica religiosa, se non nelle sue basi, certamente nelle sue conclusioni.
Ad esempio le sue posizioni in bioetica risultano poco dissimili da quelle della chiesa cattolica e dove se ne distaccano (ad esempio nell’eutanasia) lo fanno a denti stretti.

Personalmente ritengo che per una soluzione al dualismo uomo-natura la direzione da prendere sia opposta a quella di Jonas, cioè sia l’inclusione definitiva di tutto ciò che è umano in quelle modalità esplicative che procedono da Galileo e Newton e passano per Darwin.
L’essere umano apparterrebbe interamente allo stesso regno delle stelle, delle rocce, delle piante e degli altri animali (e delle macchine).
E contrariamente a quanto tanti paventano, un’interpretazione del genere non intaccherrebbe minimamente la possibilità (se proprio se ne sente la necessità) di costruire un’etica che non sia fatta di sopraffazione. Tutt’altro.
Ma è un discorso che porterebbe lontano, e non è questo il momento né il luogo d’affrontarlo.

~ il tramonto dell’occidente ~

Jonas invece, nonostante nel suo libro sullo gnosticismo riferisca con un certo distacco le idee di Heidegger e soci, si può dire appartenga a quei pensatori novecenteschi raggruppabili sommariamente sotto l’etichetta di teorizzatori della “crisi della civiltà”.
Un gruppo assai eterogeno, la cui cifra comune è, se non una condanna, un forte sospetto verso l’avvento dello Stato moderno, dell’industrializzazione, della società di massa e dell’individualismo.
Tutti questi costituirebbero una (deplorevole, o quantomeno dolorosa) minaccia a valori tradizionali consolidati nei secoli o all’integrità di una non ben definita essenza umana, ormai travolta dall’informe e oscura marea montante della modernità.
Certo, non è chiaro quanto Jonas condivida di uno Heidegger e della sua poca simpatia per la tecnica, la quotidianità delle masse, e tutto ciò che identificava come inautentico, svilimento dell’autentico.
In ogni caso è già sintomatico che Jonas citi alcuni spunti, a quanto pare condividendoli, da un vero campione della “crisi della civiltà”, ovvero Spengler, l’autore de Il tramonto dell’Occidente (il titolo dice già tutto).

{…continua…}

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